Blog Psicologia e psicoterapia

Cambiare gli altri cambiando il pubblico

Le scene quotidiane come noi crediamo che siano

Presupponete nell’altro una virtù anche se ancora non esiste”.
William Shakespeare
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Sapere come stanno le cose è un’ottima situazione di conoscenza, che fornisce vantaggi nel controllare l’ambiente e non esserne controllati. Aiuta a prevedere lo scenario nell’interazione con gli altri e scegliere da esperti la nostra azione.

È anche una delle più grandi “fregature” per l’essere umano. Proviamo ad applicarla ad un interlocutore. “Ti conosco, so come sei fatto”. “Puoi fare tutti gli sforzi, ma non cambierai mai. Sei sempre stato/a così”. “Ah… non parlare… so già ciò che dirai… ti conosco ormai!”. Queste frasi, come vedremo tra poco, hanno un deleterio effetto sociale che potremmo quasi paragonare alle maledizioni. Il pubblico dice all’attore di adeguarsi alle sue aspettative, di non uscire dal ruolo che conosce, da sempre interpretato. Così nei litigi la colpa può essere sempre dell’altro. Sia perché noi, ovviamente, abbiamo ragione, sapendo come stanno le cose, sia perché l’altro è sempre “il solito”.

La profezia che si autoadempie “scagliata” contro l’altro come una maledizione.

Il sociologo americano Robert K. Merton introdusse il concetto di profezia che si autoavvera nel 1948. «Una supposizione che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità». In una campagna elettorale, ad esempio, un candidato può dichiarare di non credere nella sua vittoria. Il che può indurre apatia nei suoi potenziali elettori, diminuendo i voti a suo favore. Proviamo a immaginare quante poche chance di cambiamento della realtà che ci circonda potremmo avere adottando un pensiero del tipo “sapere come stanno le cose”.

Prendiamo l’esempio delle persone che vogliono migliorarsi. È già difficile cambiare un’abitudine. Ma se, una volta riusciti, gli spettatori (amici, parenti, colleghi) “ricordassero” loro che sono diversi, li inchioderebbero al presunto dovere di essere sempre uguali. Il buon proposito di migliorare potrebbe nel peggiore dei casi essere interpretato come ipocrisia, falsità.

Spettatori esigenti e spettatori fantasiosi.

Come aiutare gli altri a cambiare? Il primissimo “ingrediente” è cambiare noi stessi, nelle parole e nel nostro atteggiamento mentale. Come spettatori di scene sociali che vedono come attori i nostri interlocutori di ogni giorno. Anche perché, se cambiamo la nostra “parte”, permettiamo un gioco diverso a chi “gioca” con noi.

Come possiamo sapere se un attore viene scelto per un certo tipo di ruolo perché è adatto solo per quello, o perché registi e altri addetti dell’industria cinematografica lo credono? Prendiamo il caso di un comico. Un’etichetta come questa potrebbe spingere una persona dentro una “gabbia”. Il cambiamento diventerebbe arduo anche per colpa della pressione delle aspettative degli interlocutori nel suo contesto sociale. In Italia Giorgio Faletti ruppe questa ipotetica gabbia, interpretando il ruolo di scrittore e stupendo i suoi esigenti spettatori. Con “solo” alcuni milioni di libri venduti come risultato.

Come cambiare le cose?

Non possiamo compiere miracoli. Ci sono comunque dei forti margini di miglioramento nelle persone (in noi stessi soprattutto) che dipendono dai nostri atteggiamenti. Possiamo cambiare le cose, tra l’altro, aspettandoci che siano diverse da come crediamo che siano. Potremmo pensare a volte che un nostro cliente o parente non è irragionevole come quell’attore sociale a cui siamo abituati e ci aspettiamo di vedere. Se l’attore sa che può discostarsi dalla parte, con margini di improvvisazione, egli ha il potere di generare copioni diversi. Così, gli attori delle nostre “soap opera” quotidiane possono discostarsi meno arduamente dalla parte, se anche noi spettatori gli e lo permettiamo.

Giovanni Iacoviello

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